La sua maestosità stupisce lo sguardo di ogni visitatore, lo splendore della pietra le dona preziosità, la storia religiosa che la rappresenta scopre le magnifiche gesta del Santo predicatore Bernardino da Siena
« Il Gran Sasso ci interroga da lontano e la risposta viene dal suono di campana ripetuto novantanove volte. La melodia dei solenni voti ripetuti dalle novantanove fontane leniscono l’animo sconsolato del viandante. L’Aquila: è qui la roccaforte della sapienza. E vieni a visitarla. Comprendi cosa ha dimenticato l’uomo, comprendi quanta ragione ha perduto il mondo. Se vieni a visitarla, comprendi che questa è la patria di gente forte e gentile, nobile d’anima, e proprio qui, in questo luogo alita un supremo spirito divino. »
Così Kikuo Takano, uno dei massimi esponenti della poesia giapponese contemporanea, ha reso omaggio nel 2005 alla città dell’Aquila con parole fluttuanti, sottili ma potenti, in occasione del Premio letterario internazionale intitolato a Laudomia Bonanni, scrittrice, magistrato e pubblicista italiana del Novecento.
Lo scrittore Takano ha magicamente sintetizzato l’atmosfera particolare che si può respirare visitando la provincia abruzzese, che, splendidamente adagiata tra le montagne, costituisce una delle più belle città del centro Italia, grazie ai suoi numerosi monumenti medievali e rinascimentali. Sorta nella prima metà del XIII secolo, L’Aquila presenta una struttura urbanistico-architettonica che affascina per la sua viva conservazione, così come ammaliano lo sguardo dei turisti le tante piazze, le fontane, il maestoso Castello cinquecentesco, ma soprattutto le numerose e splendide chiese. Visitando il borgo, la pietra antichissima disegna imponenti palazzi dove papi, imperatori e principi vissero e dominarono con grande forza, lasciando in eredità novantanove piazze e altrettante chiese e cannelle in ricordo dei novantanove castellani che la fondarono.
Importante la Basilica di Collemaggio, la cui costruzione terminò nel 1287 e dove avvenne la nota incoronazione di Celestino V (l’eremita Pietro Angelerio da Morrone), avutasi nel 1294 alla presenza di Carlo II d’Angiò. Per l’occasione Celestino V concesse un’indulgenza plenaria ai convenuti, il Primo Giubileo della cristianità, e ancora oggi essa viene ricordata ogni “fine agosto” in occasione della festa definita a tal proposito “Perdonanza Celestiniana”.
A rapire per la sua bellezza e per la raffinatezza artistica che la caratterizza è anche la Basilica di San Bernardino, il cui nome riconduce ancora la mente dell’osservatore ad un tempo lontano, quando L’Aquila fu terra di soggiorno anche del grande predicatore popolare, padre Bernardino da Siena.
San Bernardino
San Bernardino nacque l’8 settembre del 1380 a Massa Marittina, in provincia di Grosseto, e dopo tanti anni dedicati alla predicazione tra le genti e ad un’ importante opera di Riforma dell’ordine francescano, giunse stremato nei pressi della cittadina aquilana dove morì nel 1444. Il suo fisico, infatti, cedette allo sforzo il 20 maggio del 1444: in quella occasione fu portato in lettiga al convento di San Francesco, dentro la città, dove morì quel giorno stesso a sessantaquattro anni, posto sulla nuda terra come S. Francesco, dietro sua richiesta. Stupisce quanto avvenne subito dopo: il suo corpo esposto alla venerazione degli aquilani, grondò di sangue prodigiosamente e, di fronte a tale fenomeno, i rissosi abitanti in lotta fra loro, ritrovarono la via della pace.
I frati che l’accompagnavano, volevano riportare la salma a Siena, ma gli abitanti della cittadina, stupiti dall’accaduto e accorsi in massa, lo impedirono, concedendo solo gli indumenti indossati dal frate, oggi conservati nel convento della Capriola a Siena.
Come accadde per altri frati predicatori, nelle città in cui Padre Bernardino operò la sua predicazione e diffuse la sua volontà di pacificazione, furono costruiti celebri oratori, chiese, mausolei, come quello di S. Bernardino nella omonima chiesa dell’Aquila, dove riposa. Sei anni dopo la morte, il 24 maggio 1450, durante la festa di Pentecoste, Papa Niccolò V lo proclamò Santo nella Basilica di S. Pietro a Roma.
San Bernardino oggi è compatrono di Siena, della nativa Massa Marittima, di Perugia e dell’Aquila e la sua festa viene celebrata il 20 maggio. Per comprendere quanto grande ed importante fu la sua opera basti ricordare che per ascoltare le sue prediche si radunavano folle di fedeli nelle piazze delle città, poiché le chiese non riuscivano a contenerli. Inoltre, mancando allora i mezzi tecnici di amplificazione della voce, i palchi da cui parlava venivano issati studiando la direzione del vento, in modo tale da poterli posizionare in modo favorevole all’ascolto attento e silenzioso della gente.
Parlando della storia di fondazione, risulta dai documenti che la Basilica di San Bernardino a L’Aquila fu costruita nel 1454 per volere di San Giovanni da Capestrano e San Giacomo della Marca, discepoli del Santo senese e all’interno del centro storico spicca per il candore della pietra, con grande effetto scenografico, in cima alla salita di via Fortebraccio, mostrando il trigramma bernardiniano IHS, disegnato dallo stesso Santo. Affinché la sua predicazione non fosse dimenticata facilmente, Bernardino con profondo intuito psicologico, la riassumeva nella devozione al Nome di Gesù e per questo inventò tale simbolo dai colori vivaci, che veniva posto in tutti i locali pubblici e privati, sostituendo blasoni e stemmi delle famiglie e delle varie corporazioni spesso in lotta tra loro. Il trigramma bernardiniano ebbe un grande successo, diffondendosi in tutta Europa.
Il trigramma (o monogramma) Bernardiniano
Il trigramma IHS del nome di Gesù, divenne un emblema celebre e diffuso in ogni luogo ove San Bernardino fu presente per l’opera di predicazione. Sulla facciata del Palazzo Pubblico di Siena campeggia enorme e solenne, opera dell’orafo senese Tuccio di Sano e di suo figlio Pietro, ma lo si ritrova in ogni posto dove Bernardino e i suoi discepoli abbiano soggiornato. Qualche volta il trigramma figurava sugli stendardi che precedevano l’arrivo di questo grande uomo, quando si presentava in una nuova città per divulgare la sua parola, oppure sulle tavolette di legno che il santo francescano poggiava sull’altare, dove celebrava la Messa prima dell’attesa omelia.
Il trigramma fu disegnato da Bernardino stesso e consiste in un sole raggiante in campo azzurro, sopra vi sono le lettere IHS che sono le prime tre del nome Gesù in greco, ma si sono date anche altre spiegazioni, come l’abbreviazione di “In Hoc Signo (vinces)”, il motto costantiniano, oppure di “Iesus Hominum Salvator”. Ad ogni elemento del simbolo, Bernardino applicò un significato: il sole centrale è chiara allusione a Cristo che dà la vita come fa il sole e suggerisce l’idea dell’irradiarsi della Carità. Il calore del sole si diffonde dapprima attraverso raggi serpeggianti che si collegano metaforicamente ai dodici Apostoli e poi da otto raggi diretti che rappresentano le beatitudini; la fascia che circonda il sole rappresenta la felicità dei beati che non ha termine, il celeste dello sfondo è simbolo della fede mentre l’oro evoca l’amore.
Bernardino allungò anche l’asta sinistra dell’H, tagliandola in alto per farne una croce, che in alcuni casi è poggiata sulla linea mediana dell’H.
Il simbolo è circondato da una cerchia esterna con le parole in latino tratte dalla Lettera ai Filippesi di San Paolo: “Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti, che dei terrestri e degli inferi”. Quindi la novità di s. Bernardino fu di offrire come oggetto di devozione le iniziali del nome di Gesù, attorniato da efficaci simbolismi, secondo il gusto dell’epoca, amante di stemmi, armi, simboli.
L’uso del trigramma, comunque gli procurò accuse di eresie e idolatria, specie dagli “Agostiniani” e “Domenicani”, e Bernardino da Siena subì ben tre processi, nel 1426, 1431, e 1438, durante i quali poté dimostrare la sua limpida ortodossia, venendo ogni volta assolto con il favore speciale di papa Eugenio IV, che lo definì “il più illustre predicatore e il più irreprensibile maestro, fra tutti quelli che al presente evangelizzano i popoli in Italia e fuori”.
Lo stesso San Bernardino affermava: “Questa è mia intenzione, di rinnovare e chiarificare il nome di Gesù, come fu nella primitiva Chiesa”, spiegando che, mentre la croce evocava la Passione di Cristo, il suo nome rammentava ogni aspetto della sua vita, la povertà del presepio, la modesta bottega di falegname, la penitenza nel deserto, i miracoli della carità divina, la sofferenza sul Calvario, il trionfo della Resurrezione e dell’Ascensione. In effetti ribadiva la devozione già presente in San Paolo e, durante il Medioevo, in alcuni Dottori della Chiesa e in San Francesco d’Assisi; inoltre tale devozione era praticata in tutto il Senese, pochi decenni prima dai “Gesuati”, congregazione religiosa fondata nel 1360 dal senese beato Giovanni Colombini, dedita all’assistenza degli infermi e così detti per il loro ripetere frequente del nome di Gesù.
La Basilica e i suoi tesori
Tornando alla descrizione della basilica che onora le gesta del Santo senese si può affermare che la facciata, tipicamente rinascimentale, elegante e maestosa, venne realizzata da Nicola Filottesio detto Cola dell’Amatrice, e consta di una struttura che si articola in tre livelli, in ognuno del quali si inseriscono quattro coppie di colonne, rispettivamente di ordine dorico, ionico e corinzio. Al centro, troviamo uno splendido portale sormontato da un bassorilievo della Vergine con Gesù Bambino, accompagnata da San Francesco, San Bernardino e San Girolamo da Norcia. La curiosa finestra centrale sopra al portale principale, invece, è una modifica fatta dopo il terremoto del 1703.
Anche l’interno fu devastato dal terremoto e per ricostruirlo vennero chiamati tre celebri architetti dell’epoca: Cipriani, Contini e Barigioni; allo stesso modo per le decorazioni furono convocati famosi artisti. Entrando nella basilica, il magnifico soffitto ligneo policromo e dorato lascia senza fiato ogni visitatore che alza d’improvviso lo sguardo: fu costruito da Ferdinando Mosca nel 1724, al quale è attribuito anche l’organo monumentale, e le tele sono opera de Girolamo Cenatiempo, allievo di Luca Giordano, che si occupò anche degli affreschi nella cappella che ospita il Mausoleo di San Bernardino.
La struttura presenta una pianta a croce latina, con tre navate sulle quali si aprono cappelle laterali, recanti cupole ottagonali. Lungo esse si alternano opere di pittura e scultura di grandi artisti aquilani.
Tra esse, nella terza cappella a destra, spicca la Madonna col Bambino in terracotta dipinta, creata da Silvestro dell’Aquila; nella quarta si ammira la tela raffigurante l’Adorazione dei Magi del caposcuola Pompeo Cesura, grande pittore cinquecentesco ispirato a Raffaello. Dello stesso autore è il Miracolo di Sant’Antonio nella quinta cappella a sinistra.
Dell’altro importante pittore aquilano, il seicentesco Giulio Cesare Bedeschini, sono la tela con l’Ecce Homo e i ritratti dei quattro protettori della città, ossia San Massimo, Sant’Equizio, San Bernardino e San Celestino. Bedeschini fu capostipite di una vera e propria dinastia di artisti composta dal fratello Giovan Battista, dal figlio Francesco, incisore e architetto, e dal nipote Carlantonio. La seconda cappella di destra ospita poi la Resurrezione, una grande terracotta del Cinquecento, opera del famoso Andrea della Robbia.
Capolavoro della scultura rinascimentale aquilana, firmata dal suo più importante esponente Silvestro dell’Aquila, è senz’altro il monumentale Mausoleo di San Bernardino, che trionfa nel cappellone affrescato da Cenatiempo.
Venne commissionato a Silvestro nel 1489 da Jacopo di Notar Nanni e fu completato dal nipote ed allievo Angelo, detto l’Ariscola, nel 1505. L’altro splendido monumento creato dalla sapiente mano di Silvestro, sullo stile di capolavori fiorentini, è il Sepolcro di Maria Pereyra Camponeschi, commissionatogli dalla stessa nobildonna nel 1488; colpisce per la sua umanità l’espressione affettuosa della figlioletta Beatrice, che giace sotto la tomba della madre.
L’altare maggiore in stile barocco venne realizzato dall’artista Donato Rocco di Cicco, da Pescocostanzo, nel 1773. Davanti al mausoleo Camponeschi spicca una grande tela con una drammatica Crocifissione, realizzata sulla fine del Cinquecento da Aert Mijtens, pittore di origine fiamminga naturalizzato a Napoli; egli visse per un decennio all’Aquila, prima di trasferirsi a Roma, e vi lasciò altri due capolavori: le tele dell’Adorazione dei Magi e della Circoncisione, oggi esposte al Museo Nazionale del Castello. Dell’originaria decorazione della chiesa, distrutta dalla furia del terremoto del 1703, sopravvivono solo alcuni affreschi di Paolo e Francesco da Montereale.
La basilica di San Bernardino, dunque, costituisce un esempio architettonico, ma anche storico-culturale, del patrimonio abruzzese che merita senz’altro di essere visitato da parte dei turisti. La bellezza delle fattezze artistiche lo testimonia vivamente così come non può che affascinare e destare curiosità tutta la storia del grande Santo cui il monumento è stato dedicato.