Il luogo delle beatitudini: la splendida armonia offerta dal convento di Sant’angelo d’Ocre.
Tra le cose che sicuramente il terremoto non è riuscito a distruggere c’è sicuramente l’amore , che coloro che sono stati vittime del terremoto continuano a nutrire per la propria terra, e non è infatti un caso se pian piano cercano di ripristinare quelle tradizioni e quei pellegrinaggi verso luoghi di culto che si potrebbe definirli “partiti” per un solo anno, come se si fossero semplicemente presi una vacanza. In qualche modo si cerca di far rinascere quelle abitudini che il far parte di una terra ricca di tradizioni implicava, ed anche i luoghi di culto attraggono ugualmente chi li ama.
Uno dei luoghi che ha da sempre catturato l’attenzione è il convento di Sant’Angelo d’Ocre che sebbene sia stato gravemente ferito dal terremoto è un’attrattiva sempre considerata non soltanto dai credenti, ma anche da coloro che hanno il desiderio di godere di un gradevole panorama. Questo convento è situato in una fittissima zona verde, circondato completamente di boschi che ne aumentano il fascino e la tranquillità. Già il percorso che il visitatore è tenuto a fare per raggiungere la struttura è suggestivo ed entusiasmante e tende ad incuriosire maggiormente: il convento infatti è collocato su una delle vette del Monte Circolo, dalla quale ci si può esporre e godere di un panorama stupefacente offerto dalla Valle dell’Aterno che in quest’ottica viene dominata dal Gran Sasso.
Questa struttura annessa alla semplicità ed alla bellezza del suo territorio viene ad essere definita una vera e propria “oasi francescana”, vero e proprio punto di riferimento per i monaci abruzzesi, soprattutto per l’elevata spiritualità che si respira nella zona alimentata anche da figure importanti che l’hanno abitata e che qui hanno trovato terreno fertile per le loro preghiere quali per esempio Bernardino da Fossa, Timoteo da Monticchio, o Ambrogio da Pizzoli, ma anche Placido da Roio; la storia di questo convento poi affonda le sue radici nell’alto Medioevo , rendendolo quasi un punto di riferimento per la diffusione del monachesimo in Abruzzo.
Ocre è caratterizzato da un borgo fortificato ad un’altezza di quasi mille metri con un castello che fu costruito in posizione strategica , infatti dall’alto si poteva controllare gran parte della zona aquilana. Il borgo dovette fare i conti con vicende belliche che in più occasioni la videro anche incapace di difendersi eppure cercò in tutti i modi di rimanere strenuamente in piedi ed ancora oggi lesionata ma non affranta cerca di fare i conti con quello che è stato il nemico più forte da combattere: il terremoto.
Il convento, che tutt’ora ospita dei monaci francescani, risale al 1242, e fu voluto in particolare dalla contessa Realda di Ocre , la madre del cancelliere Federico II , Gualtieri; la contessa non scelse a caso il luogo per la costruzione del convento , infatti prima del convento sul quel luogo sorgeva un tempio romano che secondo gli studiosi era dedicato al culto della dea Vesta. Successivamente però questo tempio fu sostituito da una chiesa molto piccola dedicata al culto della madre della Maria Vergine, Sant’Anna che poi da il nome alla chiesa. Inizialmente quindi il monastero, per volere di Realda fu occupato dalle monache benedettine ma di tanto in tanto la tranquillità che doveva offrire veniva minata da terremoti e saccheggi che non hanno mai reso qui la vita facile, motivo per cui Papa Sisto IV decise di consegnarlo nelle mani dell’Ordine Francescano, nel 1480: grazie ai Francescani il convento tornò ad essere un rassicurante luogo di pace, visto che fu trovato da loro in uno stato di abbandono. Certamente oggi questo convento può essere considerato un ponte tra passato e presente che tenta di stabilire anche una certa continuità spirituale tra le epoche e continuando ad essere quell’oasi di riposo che potrebbe essere definito “eremitico” che lo ha sempre caratterizzato e per il quale il convento è famoso. Non è un caso se intorno a questo convento è nato un certo “turismo spirituale”, dunque a chi lo volesse non è solo concesso di visitare la bellezza della struttura, ma anche di soggiornare per godere della pace del posto dove tutt’ora si respira la sacralità della vita francescana, infatti anche all’interno della struttura ci sono sale di raccoglimento spirituale che si accompagna ad un panorama che contribuisce a guidare la riflessione.
Monumentale è soprattutto il chiostro che presenta due ordini di arcate che sono sovrapposte: l’arcata inferiore ha portici su tutti e quattro i lati, mentre quella inferiore soltanto su due lati, ed a sua volta presenta sedici pilastri a forma ottagonale che culminano con dei capitelli decorati con delle foglie stilizzate. Nella porzione a nord del porticato ed in particolare nella fascia superiore, invece, ci sono tre colonne in marmo molto esili ed originali, non sono mai state sostituite o modificate. Di sicuro , però, ciò che colpisce maggiormente è la ricca sequenza di affreschi che circondano il chiostro e che hanno come protagonisti San Francesco, Santa Chiara, i Santi ed i Beati dei rispettivi ordini che come si evince dalla storia della struttura si sono succeduti proprio in essa.
Le ventitré lunette del chiostro invece ospitano scene legate alla biografia di Sant’Antonio di Padova ma in senso antiorario rispetto all’andamento del chiostro: sono immagini che ripercorrono le tappe più importanti della vita del Santo dalla sua nascita alla sua morte, e sono probabilmente opera di Borani, risalenti al 1660 circa; ogni lunetta presenta nella porzione sottostante la didascalia che spiega l’episodio illustrato ed immancabile è lo stemma, sopra ogni dipinto, delle importanti famiglie del paese di Ocre che hanno commissionato questi dipinti. Nella porzione più ad ovest del chiostro e precisamente se si volge lo sguardo verso l’alto si può scorgere, anche se in modo non troppo evidente, una meridiana che molti conoscono con il nome di “orologio solare” che è uno strumento di misurazione del tempo che si basa sul rilevamento della posizione del Sole ed ha origini anche molto antiche: la meridiana presente nel chiostro del convento di Sant’Angelo risale probabilmente al 1848, ma purtroppo oggi la si può vedere solo parzialmente visto che i numerosi interventi di restauro che sono stati fatti nel corso del tempo l’hanno coperta, ma non è l’unico esempio anche per esempio l pavimento in cotto che caratterizzava l’edificio è stato coperto dai restauri.
Non poteva di certo mancare in un edificio in cui la comunità rappresenta l’armonia dello stare insieme in modo pacifico, un elegante refettorio. Il refettorio rappresenta la sala in cui la comunità, appunto, consuma i pasti, è la moderna “mensa”, e sicuramente nel caso di questo convento è un vero e proprio scrigno , infatti al suo interno è possibile ammirare il dipinto di uno dei pittori più famosi d’Abruzzo, ossia Saturnino Gatti che nella sua meravigliosa “Ultima Cena “, scende in campo con tutte le sue doti artistiche, che è noto, abbia acquisito da un grande maestro: Leonardo da Vinci. I due si conobbero infatti nella scuola del Verrocchio , dove Saturnino Gatti di sicuro studiando duramente riuscì ad imparare l’importanza della mimica oltre che della riproduzione somatica dei personaggi , e di sicuro osservando con attenzione l ‘ “Ultima Cena” questa sua bravura nella riproduzione dei corpi e dei volti anche, è particolarmente evidente. La prima cosa che colpisce dell’affresco è il volto degli Apostoli che sembrano essere segnati da un profondo dolore , è come se nei loro volti ci fosse l’espressione della rassegnazione dovuta all’imminente passione di Cristo che li accompagna in questa Cena ; circondano l’immagine poi, gli angeli del Signore che hanno tra le mani degli strumenti che utilizzano per “annunciare” quanto sta per accadere a Gesù, infatti il dipinto sta proprio ad anticipare scenograficamente la morte di Cristo che può essere letta non soltanto nei volti addolorati di quanti occupano la scena ma anche nei colori spenti, che rimandano alla “nuda terra”, ma sicuramente anche invecchiati con il tempo.
La scena vede al centro una lunga tavola imbandita che in realtà è particolare: non è la solita misera tavolata allestita per un’usuale ultima cena infatti presenta Carne d’agnello servita su un ampio vassoio che probabilmente è il simbolo del sacrificio di Gesù Cristo e stranamente sul tavolo ci sono dei coltelli che non si sono mai visti nella descrizione di una cena che anticipa di qualche ora la passione di Cristo; è anche vero però che il coltello aumenta il senso della sofferenza carnale, è come se fossero stati collocati sul tavolo per spiegare ulteriormente il significato di quell’incontro oltre che lo stato d’animo che sta pian piano creando un alone intorno alla vita del Salvatore. Dunque anche il coltello viene visto come simbolo del sacrificio che sta per avvenire.
Si è fatto prima riferimento al colore che appare “livido”: esso anche senza immagini riuscirebbe a descrivere il dolore che i protagonisti stanno vivendo, non a caso infatti anche lo sfondo del dipinto è nero ed i personaggi sembrano venire fuori da questo sfondo ispessiti con tecniche cromatiche che creano anche prospettiva. Quasi a descrivere la scena e a volerla indicare a quanti dal basso la osservano ci sono San Bernardino da Siena e San Francesco, che non sembrano perdere d’occhio l’incontro per un attimo.
La scena che campeggia sulla parete di fondo del refettorio ha una trave in legno dipinta che divide la scena in due parti: la parte superiore ad arco che presenta le immagini degli angeli che annunciano l’imminente sacrifici con i loro strumenti appunto, mentre la porzione sottostante che presenta la scena principale con la tavola imbandita , e sulla trave appunto c’è un’iscrizione latina che recita così: “ silentium oris et pedum” che viene ad essere un richiamo ed un’ammonizione che l’artista fa ai frati , invitandoli a non fare rumore né con la bocca né con i piedi e dunque li invita a “rispettare” questo momento solenne.
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Monastero di Sant’Angelo d’Ocre