Serramonacesca (Pe). Abbazia di San Liberatore a Majella

Un matrimonio indissolubile tra storia e natura: San Liberatore a Majella
La regione abruzzese è nota soprattutto per le peculiari attenzioni che il suo abitante le dedica quotidianamente: non v’è ricorrenza che non venga segnalata su un calendario liturgico o festeggiata nel centro del paese di riferimento insieme ai propri compaesani, e sicuramente in questo è supportata dal fatto che è tra le regioni più cristiane d’Italia, come tra l’altro molti grandi scrittori abruzzesi avevano sottolineato, fra cui Ignazio Silone.
Sul suolo abruzzese c’è un continuo e costante, addirittura, rapporto tra “sacro e natura” che non può essere distrutto in alcun modo, ma che porta soltanto ad osservare le immense vallate che dominano la regione, a pregare dopo faticosi ma sentiti percorsi all’ombra di un eremo,o a commuoversi nello scrutare lo splendore di un mare che domina e lambisce le coste, e quasi sembra voler abbracciare chi si avvicina anche solo per odorare quel profumo di salsedine che molto spesso è evocatore anche di bellissimi ricordi.
Tutto questo è Abruzzo: una terra sublime che da sempre è stata sede di meditazione, di pellegrinaggi ma anche di illuminanti passeggiate che il più delle volte sono state migliori di qualsiasi altra terapia contro i mali di un secolo troppo confusionario e fuorviante. Non è un caso quindi se gran parte dei Santi e degli eremiti hanno deciso di fare dei bellissimi e limpidi percorsi abruzzesi, il loro percorso di vita che li avrebbe aiutati a capire se stessi, leggendosi dentro, e stando in stretto contatto con il creato,il quale li avrebbe aiutati anche a “vedere Dio”.
L’antica abbazia di San Liberatore è figlia della “Sacra Madre”: la Majella; essa è situata nel paese di Serramonacesca, il quale nello specifico è posto alle pendici del Monte Piano di Taricca nei pressi del magico fiume Alento immerso nella natura incontaminata ed alimentato in particolare da questo fiume. L’Alento infatti nasce proprio a Serramonacesca ed attraversa il cuore del Parco Nazionale della Majella, non ha una grande portata eppure con il suo scorrere veloce e con i suoi percorsi particolarmente tortuosi crea quasi una musica melodica e soave per chi l’ascolta proiettandolo in una dimensione onirica.
Serramonacesca è famosa in particolare per la presenza sul suo territorio delle più belle chiese medioevali d’ Abruzzo e si può tranquillamente affermare che proprio l’abbazia di San Liberatore ha caratterizzato la storia di questo piccolo borgo curato amorevolmente in passato soprattutto dai monaci.

L’interno
È un paese completamente circondato di vegetazione e proprio tra boschi ed uliveti in particolar modo sono state messe in piedi le abitazioni per lo più in pietra, che quasi evidenziano il fatto che nel paese abitavano soprattutto dei pazienti artigiani e come vuole la tradizione benedettina i monaci osservavano la regola dell’ “ora et labora” (prega e lavora), con la quale sono stati un vero e proprio esempio vivo per tutto il paese e probabilmente il gran senso del dovere che hanno sviluppato, il rispetto per l’ambiente, per la preghiera e per la natura devono la loro origine proprio a questo. Anche il nome del paese “la serra dei monaci” induce a pensare come questo nucleo di monaci insediatosi nell’abbazia, sia stato un vero e proprio indice di sviluppo per Serramonacesca. Il nucleo originario del paese è costituito ad opera dei Longobardi che inizialmente si erano raggruppati in complessi di famiglie, ognuna definita “fara”(molti paesi d’Abruzzo oggi hanno conservato nell’etimologia del loro nome il termine “fara”) ed a loro volta, presentavano la divisione dei quartieri in contrade costituite da forzieri per lo più di forma circolare che erano sede di numerose abitazioni costruite dunque fuori dal centro del paese, dove però le famiglie si spostarono nel 1400 a seguito di una pestilenza e fu così che Serramonacesca vide accrescere l’agricoltura al suo interno che serviva per sfamare questi nuovi abitanti, diventando una vera e propria “serra”.
La badia di San Liberatore è circondata da boschi quieti che ne esaltano la funzione rasserenante, è possibile vederla fuori dal nucleo abitato mentre dal lato destro della basilica su un’alta rupe è possibile vedere i ruderi di Castel Menardo. La struttura fu costruita intorno al 1080, da monaci benedettini di Montecassino, sui resti di una precedente chiesa che non era stata risparmiata dal terremoto del 990. Essa raggiunse il massimo splendore intorno al 1200 circa e come tutte le strutture ecclesiastiche ebbe dei periodi più o meno fortunati, ma di sicuro il periodo più sfortunato fu quello vissuto nell’anno 1806, dove il nuovo decreto di Napoleone, che prevedeva la soppressione degli ordini monastici, sancì la sua caduta : fu spogliata di ogni bene, di qualsiasi opera d’arte, arredo o libro sacro diventando la sede del cimitero del paese fino alla fine degli anni ’60. Sono molti i restauri che l’hanno vista protagonista nel corso degli ultimi tempi e che finalmente l’hanno riportata al suo insigne splendore.
L’abbazia fu ricostruita dal monaco Teobaldo, dunque, agli inizi dell’ XI secolo e fu proprio lui a dare una prima descrizione del sito che versava in pessime condizioni, essendovi giunto per un primo sopralluogo e riporta le sue impressioni proprio nel “Commemoratorium” descrivendo la chiesa come “piccola ed oscura” alla quale egli diede in seguito un aspetto più monumentale. Intanto aggiunse un ampio spazio presbiteriale che fu costruito tra l’altro al di sopra di una cripta e verso la facciata, furono anche innalzate le pareti dell’edificio di circa un metro e mezzo cosicché si potessero aprire delle finestre ed accogliere decorazioni; anche quando Teobaldo tornò a Montecassino, dopo dodici anni di permanenza in Abruzzo continuò da lontano a dirigere progetti che in qualche modo potessero continuare a promuovere la bellezza dell’edificio. È importante sottolineare il fatto che Teobaldo aveva una vastissima conoscenza in campo architettonico in quanto prima di San Liberatore aveva curato strutture tardo-antiche e paleocristiane che gli avevano portato molta fortuna, ma la maggiore concreta esperienza la fece sicuramente con il romanico.
In realtà il presbiterio come fu pensato da Teobaldo non venne mai realizzato, ma di sicuro la facciata ebbe tantissimi interventi, anche se gli esperti hanno notato diversità di stili tra la parte inferiore realizzata in periodo altomedioevale e bizantino godendone degli influssi (evidente soprattutto nelle arcate cieche che poggiano su esili colonne), mentre la parte superiore presenta un profilo a capanna sottolineato da archetti pensili e tre monofore sottilmente divise da lesene.
Al suo interno la facciata presenta due semicolone che sono allineate con i pilastri quasi a sorreggere gli archi divisori delle enormi navate ed esse servono a stabilire una corrispondenza con le semicolonne che si trovano ai lati dell’abside maggiore. Anche la facciata dunque, è stata ampliamente modificata sotto la direzione dei lavori di Teobaldo, infatti essa presentava in aggiunta portali ed un portico poi distrutto. Non tutti i monaci successivi però furono d’accordo con i cambiamenti fatti da Teobaldo, motivo per cui cercarono di convincere l’abate Desiderio a riprendere i lavori in modo più esauriente, e dunque la badia di San Liberatore fu di nuovo sotto i riflettori: fu l’abate Adenolfo questa volta a dirigere i lavori, anche se in più situazioni questo personaggio non fu ben visto.
Durante l’ampliamento della chiesa tenne conto delle predisposizioni della struttura precedente ed i maggiori storici dell’arte hanno potuto notare una straordinaria somiglianza con il complesso abbaziale di Montecassino soprattutto nelle organizzazione delle finestre ricavate nella parte superiore della facciata o nell’eliminazione della sopraelevazione del presbiterio e fu proprio quest’ultimo cambiamento ad essere il protagonista indiscusso delle modifiche da parte di Teobaldo che invece ne volle l’innalzamento. Tra gli elementi caratterizzanti l’abbazia ci sono sicuramente i tre portali sulla facciata principale che riportano tutti lo stesso schema in cui un ano dotato di architrave è sormontato da un arco di scarico formando una lunetta; gli architravi dei portali della chiesa presentano dei bassorilievi con i tipici elementi dell’ornamentazione bizantina a tralci o palmette disposti con una certa simmetria, ma anche sul legno non mancano incisioni sempre riconducibili al benedettino.

Affresco con raffigurazione dell’antico aspetto dell’abbazia
L’architrave ha la particolarità di essere effigiata con fiori nei lacunari che si rifanno particolarmente all’abbazia di Montecassino ciò che però colpisce maggiormente della struttura è il monumentale campanile che si compone di una torre a pianta quadrata distaccata dalla badia ma collocata esattamente parallelamente allo spigolo di quest’ultima;la torre presenta un basamento liscio in pietre squadrate e raggiunge l’altezza delle arcate cieche della badia e le uniche aperture che presenta sono quelle d’ingresso. È sviluppata su tre livelli che la organizzano come fosse ad incassi chiusi da archetti pensili che culminano con la “croce benedettina”.

Particolare della torre (ph.Alessandra Renzetti)
Le suddette aperture d’ingresso, sono ricavate sui lati del campanile, quasi a voler catturare il più possibile luce: al primo livello il cassettone è monoforo ed esso è qui impreziosito da un elegante archivolto scolpito con motivi vegetali; al secondo livello è biforo con semplici modanature a bastone scolpito su una sottile colonna sormontata da un grande pulvino; al terzo è triforo, anch’esse supportate da esili colonne con pulvini che sono una ricostruzione a dire il vero, in quanto erano andati perduti.
Il portico dell’abbazia è molto semplice: presenta tre arcate scolpite su forti colonne classicheggianti con capitali di diversa natura che rendono un amplia visuale centrale dove è possibile scorgere la copertura a crociera che è stata impostata su paraste completamente addossate alla facciata; il portale centrale, nella porzione interna della lunetta, che va a creare era probabilmente affrescata, e lo si può affermare dopo aver riscontrato tracce di colore. Sopra il portico è visibile una loggia con un’arcata centrale e su ogni lato sono osservabili tre bifore separate da esili colonne, molto piccole, il tetto era tangente al piano di queste tre monofore della facciata dove al di sopra è raffigurato un campanile a vela. Il punto forte della basilica, entrando, è sicuramente il tipico “ambone abruzzese” che è unico nel suo genere; in particolare quello di San Liberatore non è molto diverso da quello di San Clemente a Casauria come anche le cornici sagomate decorate da palmette dritte ravvisabili anche nel caratteristico rosone facente parte dei tre plutei associati alla cornice il quale rappresenta tre foglie stilizzate unite a steli con foglie a rose disposte con una certa simmetria, per quanto riguarda il primo pluteo, il secondo pluteo presenta un grifo dal becco del quale fuoriesce uno stelo che termina con due rose che hanno diversa dimensione, mentre l’ultimo pluteo è caratterizzato da uccelli che beccano gemme che sono sulla sommità di due steli e quest’ultimo è un tema tipicamente bizantino. Motivi vegetali li troviamo anche nel bassorilievo continuo, che evidenzia un tralcio ondulato unito anche ad animali e figure antropomorfe.
Per quanto attiene al soffitto, si può solo ipotizzare che fosse cassettonato, quantomeno in corrispondenza della navata centrale che attualmente presenta delle travi in legno disposte orizzontalmente per tutta la lunghezza e di sicuro attende opere di restauro, mentre a catturare l’attenzione del visitatore, è sicuramente il maestoso pavimento ricomposto “in loco” visto che risultava dismesso, e consta di svariati motivi geometrici di diverso colore, ricavati con la tecnica dell’“opus sectile” oltre che la tecnica bizantina del “quincunx” che rimanda al genere di Montecassino che si è diffuso con il cosmatesco lontano. Il restauro effettuato in passato si erano accompagnati anche alla stesura di affreschi che ovviamente con il passare del tempo hanno visto venir meno il loro scenografico protagonismo, infatti frammenti di pitture sono visibili solo nell’abside centrale, mentre degli affreschi effettuati nel XVI secolo sono evidenziate ancora scene sui pannelli della navata di destra, che riguardano donazioni fatte al tempo.
In un certo senso le pessime condizioni in cui versa la basilica sono imputabili alla continua e costante presenza dell’umidità che la sta danneggiando in modo quasi repentino, ma non è facile interiormente dare colpe ad una natura così bella e rasserenante. Quando si parla di San Liberatore, è impossibile non fare riferimento all’altra faccia di questa splendida medaglia rappresentata dalle tombe ad arcosolio, dunque scavate nel tufo, presenti nelle rocce che costeggiano il fiume Alento. Sono delle tombe rupestri che risalgono all’VIII-IX secolo, visibili seguendo un percorso spezzato da un piccolo ponticello e circondato da vegetazione e cascatelle; appaiono delle piccole nicchie seguite da una altrettanto piccola cappella che avevano lo scopo di proteggere il riposo dei defunti nella bellezza di questa natura incontaminata.

Percorso del fiume Alento e sito delle tombe paleocristiane (ph.Alessandra Renzetti)
Gallerie fotografiche
Abbazia di San Liberatore a Majella
Info e matrimoni nell’abbazia
www.ostellosanliberatore.com

Impostazioni privacy