Storia e arte di un insediamento religioso
I frati Predicatori (Domenicani) furono chiamati a Teramo dal vescovo locale Gentile da Sulmona (AQ) nel 1268 per aiutarlo nell’amministrazione e nella politica cittadina. La costruzione della loro chiesa però, iniziò solo nel 1323, per volere del presule aprutino Niccolò degli Arcioni, che concesse un’indulgenza speciale di 40 giorni a tutti i fedeli che avessero visitato il nuovo erigendo tempio, con la bolla del 10 dicembre dello stesso anno. Il complesso conventuale di S. Domenico fu frutto di una lunga ed attenta progettazione (1287-1323); inizialmente doveva sorgere in territorio extraurbano, nei pressi di una delle porte cittadine, ma essendo presenti a Teramo anche i Francescani, i frati, secondo una regola esistente tra gli ordini religiosi, furono costretti ad edificarlo nel luogo dove sorge tuttora.
La grande chiesa fu portata a compimento solo nel 1407, durante il priorato di F. Vincenzo da Chieti e la costruzione del chiostro procedette di pari passo con quella del tempio: secondo il Muzi e l’Antinori, lo stesso fu ultimato con i contributi di Matteo Melatino signore e fondatore della rocca di Fornarolo (Frondarola), morto nel 1371. Elementi strutturali e architettonici, riscontrabili e ben visibili nella parete esterna dell’attuale cappella del Rosario, tra cui due piccole finestre gotiche, inducono a pensare ad una primitiva chiesa, di cui si ignora la denominazione, officiata dai Domenicani fin dal loro ingresso in città, inglobata successivamente nella fabbrica del nuovo tempio costruito in stile gotico.
Le chiese degli Ordini Mendicanti, che tanta influenza ebbero nel Medioevo per le idee propugnate sull’orientamento spirituale del popolo e dell’arte, vennero quasi sempre erette nei secoli successivi sul modello degli edifici da loro voluti nel XIII secolo e nei quali alcuni elementi gotici erano stati utilizzati per conferire ai templi stessi uno slancio mistico e una severa maestà, base delle loro dottrine morali. Furono edificate in forma di spaziosissime aule ad una sola navata solitamente coperte con soffitti a traviature lignee, con lo scopo di accogliere le grandi folle di fedeli che da ogni punto della chiesa potevano vedere ed ascoltare le prediche dei frati che insegnavano dal pulpito le Verità evangeliche. Alcuni degli edifici sacri gotici d’Abruzzo furono opera quasi certamente di architetti francesi che si avvalsero delle maestranze locali per realizzare i loro progetti.
Architetture domenicane e francescane
Francescani e Domenicani furono i primi a dare una propria impronta all’architettura di questo stile poiché cercavano il contatto diretto con il popolo: il fine infatti, non era tanto la contemplazione quanto la cura delle anime e la predicazione nelle città in piena fioritura economica, sociale e culturale; essere seppelliti nei loro templi assicurava, secondo la credenza medioevale, l’intercessione delle preghiere di suffragio dei religiosi e dei santi dell’Ordine. Mentre i Francescani si rivolgevano direttamente ai sentimenti dei laici, i Domenicani puntavano su una forma intellettuale di trasmissione della fede resa estremamente efficace con l’aiuto delle università europee; anche gli scritti e i grandi cicli di affreschi raffigurati sulle pareti delle chiese conventuali, che dovevano servire all’istruzione biblica dei fedeli, rispecchiavano molto chiaramente le differenze esistenti tra i due ordini religiosi, i quali, non di rado, rivaleggiavano anche nell’edificazione dei propri cantieri.
L’imponente mole del S. Domenico di Teramo fu eretta con materiale laterizio più economico e di facile utilizzo e, per evitare ogni rivalità con altri ordini presenti nel capoluogo aprutino, i frati eliminarono ogni abbellimento esterno. La chiesa fu poggiata su un ampio e semplice basamento sagomato in pietra ed ebbe un coronamento simile a quello del tempio di S. Francesco (attuale S. Antonio), con qualche finestrone oblungo gotico, a forma di bifora ed un grazioso portale, unici elementi che interrompevano l’uniformità delle grandi muraglie che la componevano.
La sua semplicità architettonica derivò certamente da quella adottata dai Francescani di Teramo: fu scelto infatti, il tipo di struttura a forma di grande nave con tribuna rettangolare, mentre all’esterno presentava robusti contrafforti angolari posti sulle cantonate, anziché lesene intermedie. All’interno, la struttura fu rinforzata con arconi a sesto acuto di collegamento, che la divisero in sei campate coperte a tetto, mentre nel coro, che costituì l’abside del tempio, fu costruita una slanciata e splendida volta a crociera costolonata, con un bel cielo stellato affrescato nelle lunette. Come nella chiesa di S. Antonio, l’edificio fu esternamente coronato da eleganti arcatelle cieche di mattoni, piuttosto ampie, a forma di ogive depresse, sporgenti su piccole mensole in pietra o cotto. Nell’abside fu posto un finestrone che poco si scostava dalle quattro grandi finestre laterali con doppia strombatura e a sesto acuto, realizzate impiegando alternamente pietra concia e mattoni.
Gli affreschi
Gli affreschi posti lungo la pareti interna sinistra della grande navata unica furono affidati al pittore Luca d’Atri, presunto Maestro d’Offida (AP) e alla sua bottega (XIV sec.) e rappresentano Storie della Vita di Cristo; quelli dell’abisde, della controfacciata e di parte della parete sinistra, raffigurano santi cari alla devozione popolare e all’Ordine domenicano, pitture votive e immagini mariane, databili tra il XIV e XV secolo: molto interessanti dal punto di vista iconografico una bellissima Annunciazione, che presenta analogie con gli affreschi più noti della antica chiesa abbaziale di S. Maria in Piano di Loreto Aprutino (PE), una Madonna del Latte con S. Antonio Abate e i SS. Sebastiano e Rocco di Montpellier. All’ambito della pittura tardogotica medio-adriatica appartiene il grande affresco nella parete destra della controfacciata, vicino all’ingresso principale: si tratta di un’iconografia insolita in terra abruzzese perché rappresenta, da un lato, i santi patroni della città di Padova, Giustina, Daniele e Prosdocimo, dall’altro, tre santi non ben identificabili (forse Berardo, patrono di Teramo, Antonio di Padova e Vito ?).
Al centro di questa teoria di santi, posta su un ampio trono, che ricorda nel modello quelli di scuola giottesca, è la Madonna col Bambino che accoglie la preghiera del donatore raffigurato in ginocchio ai loro piedi: gli studiosi ritengono si tratti di Conte da Carrara (fine XV- prima metà XVI secolo), signore della città di Padova, che dal Veneto sarebbe sceso in Abruzzo per stanziarsi nei nostri territori; avrebbe ricevuto diverse cariche politiche e militari dai papi e dai sovrani di Napoli e avrebbe governato per un certo periodo le città di Ascoli Piceno e Offida (AP). Questa ipotesi sarebbe avvalorata anche dalla presenza dello stemma dei Carrara ripetuto nei colori delle cornici a scacchi bianchi, rossi e blu che circondano tutto l’affresco suddetto. La cappella della Madonna del Rosario fu stuccata nel 1753 dal marchigiano Gilberto Todini da Monte Giberto (FM), che eseguì pure gli affreschi della volta e dei medaglioni delle pareti (1755).
Capolavori d’arte
A Giovanni Antonio da Lucoli (AQ) si deve la notevole e splendida copia in terracotta policroma della Madonna delle Grazie (XVI sec.), forse donata dai frati Minori Osservanti custodi dell’omonimo santuario cittadino in segno di amicizia coi figli di S. Domenico di Guzman,. Al ticinese Michele Clerici spettò il compito di realizzare il bellissimo gruppo in stucco della Famiglia di S. Anna (XVIII sec.), entrambe oggi poste in due nicchie nel presbiterio, ai lati dell’altare maggiore. Verso la metà del XV secolo e l’inizio del successivo, l’intero complesso domenicano dovette subire seri danni, forse a causa di alcuni terremoti, tanto da indurre i frati a ristrutturarlo, sostituendo le capriate in legno con poderosi pilastri, i cui archi ogivali gotici avrebbero garantito per il tetto della chiesa maggiore sicurezza e solidità: il lavoro infatti, era documentato dalla data (oggi scomparsa) del 1507 che si leggeva graffita nella cornice terminale del primo pilastro a destra dell’ingresso principale.
Nel chiostro le bifore ai lati dell’ingresso della Sala del Capitolo, vennero chiuse, utilizzando lo spazio ricavatone per far dipingere dal polacco Sebastiano Majewsky le Scene della Vita di S. Domenico (prima del 1627), mentre tra il XVI e il XVII secolo fu operato il rafforzamento della struttura claustrale, con la costruzione dei vani sovrastanti e del ballatoio. Nel 1545, il Maestro Generale dell’Ordine, presente a Trento per assistere alle assise del famoso Concilio, decretò per i frati abruzzesi il distacco dalla Provincia religiosa di Puglia, ed eresse per loro una Vicaria aprutina che, dopo 50 anni di travagliata esperienza, fu trasformata da F. Paolino Bernardini da Lucca nella Provincia di S. Caterina da Siena, comprendente territorialmente anche il convento di S. Pietro Martire della vicina Ascoli Piceno.
La Confraternita del Rosario
L’istituzione della Confraternita del Rosario già documentata in S. Domenico dal XVI secolo, presumibilmente in epoca non posteriore a quella di Nocella di Campli (2 marzo 1556), attirò un gran numero di fedeli, specie benestanti o nobili, che disposero larghi lasciti per dotare altari, cappelle e sepolture di famiglia. Nel Seicento l’apostolato devozionale in città fu affidato ai gruppi spirituali affiliati a questo pio sodalizio, con una consistenza numerica in continuo aumento, tanto da esigere per i Fratelli distinta sepoltura da quella delle Sorelle. Per venire incontro alle necessità dei poveri fu eretto il Monte di Suffragio del Rosario che diffondeva la venerazione per S. Vincenzo Ferreri, domenicano spagnolo, invocato per la benedizione delle campagne e come patrono dei muratori: ai malati gravi infatti, si offriva in devozione l’acqua benedetta in onore del santo (da deglutire e aspergere) e si lasciava per protezione, a tempo determinato, un angioletto d’argento con una sua reliquia. Il culto per il taumaturgo S. Vincenzo fu portato in Abruzzo dal domenicano B. Giovanni da Pistoia (1427-1493) e si diffuse molto in tutta la regione: il beato si dedicò infatti, esclusivamente alla predicazione popolare, secondo lo scopo originario dell’Ordine cui apparteneva, imitando le orme e gli insegnamenti del suddetto santo.
Per questo motivo l’impresario Porretti volle che venisse eretto in S. Domenico, restaurata nel 1950, un piccolo altare dedicato a S. Vincenzo Ferreri, sul quale i frati sistemarono una tela raffigurante il santo, commissionata al pittore teramano Giovanni Melarangelo. La nascita del Terz’Ordine domenicano di Teramo risale invece al XV secolo, quando il cappellano di papa Innocenzo VII, tale Monte di Giovanni da Campli, ne approvò gli statuti di fondazione, il 26 giugno 1405, due anni prima della conclusione dei lavori del tempio monumentale.
Nel convento era documentata inoltre, la presenza di una spezieria gestita dai religiosi, vantaggiosa anche per i meno abbienti, ma forse proprio per questo malvista e ostacolata da invidiosi concorrenti laici. In piena bufera napoleonica (1809) il complesso domenicano fu soppresso e trasformato dapprima in stalla per i cavalli e poi in caserma; fu affidato, nel frattempo, alle cure e alla manutenzione della Confraternita del Rosario, in custodia concordata dalla Curia vescovile, ma si dovettero attendere ben 130 anni prima che i frati potessero tornare ad officiarlo. La chiesa fu restaurata da Francesco Savini negli anni’20 del XX secolo e, dopo il Congresso Eucaristico Nazionale svoltosi a Teramo nel 1935, fu offerta dal vescovo Micozzi ai Domenicani della Provincia Romana, con i quali era in amicizia. Nel secondo dopoguerra fu necessario un nuovo e urgente intervento di lavori murari e di arredamento e furono acquistate nuove suppellettili per il culto.
Il Centro Culturale della Cattedra Cateriniana
Per il ministero, oltre alla consueta predicazione, venne fondato il Movimento laicale domenicano al posto del più antico Terz’Ordine, dando vita al centro culturale della Cattedra Cateriniana, uno dei primi e più attivi in città in quel periodo, voluto per commemorare il VI centenario della nascita di S. Caterina da Siena (1947). Il centro ospitò apprezzati uomini di cultura e studiosi locali, che presentarono nel corso degli anni vari e interessanti argomenti. L’inaugurazione della chiesa si svolse il 3 dicembre 1950, con grande partecipazione popolare; il vescovo Vincenzo Gilla Gremigni, in quell’occasione, benedisse la nuova campana maggiore, mentre il priore, P. Benedetto Carderi, pubblicò un opuscolo sull’avvenuto restauro. Sempre nello stesso anno, fu eseguita la nuova e bella vetrata del finestrone con bifora della facciata, raffigurante i SS. Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, patroni d’Italia. S. Domenico negli anni 1969-1971 subì ulteriori interventi di consolidamento che le diedero l’attuale aspetto, conforme ai dettami post-conciliari. Attualmente l’intero complesso monumentale è custodito e officiato dai PP. Francescani dell’Immacolata, nuovo ramo dell’Ordine Minoritico.
(ph. Valerio Negro, tutte)